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DATECI IL FUTURO, FIRMATO I GIOVANI.
Questa la scritta che sovrasta il centro storico di Firenze, la città vetrina del lusso per pochi.
Certo è stata una piazza eterogenea quella di venerdì, ma quale sia stata la componente principale di quella giornata è ormai evidente a tutti: i giovani e i giovanissimi, con buona pace di chi ancora cerca organizzatori dove non ce ne sono sono, scomodando le solite veline della questura ormai ingiallite dagli anni che additano di default anarchici o ultras.
Una piazza senza rivendicazioni precise e senza firma, una piazza proprio per questo abitabile da chiunque non volesse veder strumentalizzata la propria rabbia. Una rabbia da troppo tempo covata. Come può infatti stupire che si voglia ribaltare un mondo che avrebbe tutto da offrire, ma che non ci ha mai offerto niente? Il contraltare di una tecnologia sempre più alientante è infatti rappresentato solo da sfruttamento e precarietà, lavori al nero e affitti impossibili. Ed eccoli allora i giovani di venerdì: sono gli stessi che avete destinato a servire e sorridere al turista di turno, a cui avete offerto poco più dello scheletro di quella che dovrebbe essere una scuola che mira a una reale diffusione di cultura, che avete costretto a continuare a vivere con i genitori e che proprio per questo avete deriso come una generazione di nullafacenti. Una generazione a cui avete sempre negato la parola, continuando a guardare al giovane solo come ad un adulto in potenza, mai come ad un soggetto con propri bisogni e propri desideri.
Con la diffusione della pandemia tutto ciò ha assunto caratteristiche grottesche. Sostituita anche l’aula di scuola con uno schermo, l’intera socialità è stata bandita ed etichettata come superflua, definizione facile per chi guarda al mondo solo come ad un salvadanaio da cui attingere, magari da una villa di 200 metri quadri. Se lo stato ha pensato bene di scaricare tutta la colpa delle propie mancanze sui comportamenti dei singoli, continuando ad andare a braccetto con quell’organizzazione criminale che va sotto il nome di Confindustria, quegli stessi singoli hanno poi riversato la propria frustrazione sul capro espiatorio perfetto perchè appunto da sempre privato di voce: ancora loro, i giovani.
Del resto quale sia il trattamento riservato a chi le proprie idee prova ad esprimerle l’abbiamo imparato davanti al duomo, mentre la celere ci cariava senza alcun motivo se non quello appunto di metterci a tacere. Rimangono espresse su quei cartelli gettati a terra e calpestati che così prontamente il Quadrifoglio è passato a rimuovere. Parlavano delle responsabilità degli industriali e di questo governo, parlavano di una sanità svenduta, di chi una casa in cui confinarsi non ce l’ha, di chi è stato abbandonato dalle istituzioni ed è stato aiutato solo dalla solidarietà popolare e autogestita. Affermavano che non si può dover scegliere tra morire di fame o morire di covid.
Non può stupire allora che quelle migliaia di ragazzi abbiano trovato un’altra maniera di esprimersi, attaccando quella che da sempre è per loro l’unica manifestazione dello stato nelle loro vite: la polizia con la sua violenza, che anche venerdì ha dato mostra di quanto possa essere brutale e infame.
Non è quindi certo per tentare di ricondurre alle nostre ragioni quella protesta che vogliamo esprimere la nostra solidarietà a chi è stato fermato e a chi attualmente è colpito dalle misure cautelari, ma perchè quella rabbia è anche la nostra rabbia.
Qui trovate il link per il crowdfunding per sostenere le spese legali. Siete tutti invitati a condividerla e diffonderla. Perchè nessuno resti da solo.