Selecta di musica disonesta
birrette & vino bono in solidarietà a le/gli indagat* (di cui 22 sotto misure cautelari!) per la manifestazione del 30 Ottobre a Firenze
in Piazza Tasso, venerdì 12/2 dalle h 19, dopo la chiusura del Mercato Contadino.
In caso di pioggia… Ci vediamo all’occupazione di via del leone 62.
R/esistenze
Autogestioni in lotta (https://resistenzefirenze.noblogs.org/)
Autogestioni in lotta (https://resistenzefirenze.noblogs.org/)
È stata una piazza eterogenea quella di venerdì 30 ottobre, ma quale sia stata la componente principale di quella giornata è divenuto con il passare dei giorni evidente a tutti: i giovani e i giovanissimi, con buona pace di chi ancora cerca organizzatori dove non ce ne sono, scomodando le solite veline della questura ormai ingiallite dagli anni che additano di default anarchici o ultras.
Una piazza senza rivendicazioni precise e senza firma, una piazza proprio per questo abitabile da chiunque non volesse veder strumentalizzata la propria rabbia. Una rabbia da troppo tempo covata.
Come può infatti stupire che si voglia ribaltare un mondo che avrebbe tutto da offrire, ma che non ci ha mai offerto niente? Il contraltare di una tecnologia sempre più alienante è infatti rappresentato solo da sfruttamento e precarietà, lavori a nero e affitti impossibili.
Ed eccoli allora i giovani di venerdì: sono gli stessi che sono stati destinati a servire e sorridere al turista di turno, a cui è stato offerto poco più dello scheletro di quella che dovrebbe essere una scuola che mira a una reale diffusione e cultura, che sono stati costretti a continuare a vivere con i genitori e che proprio per questo sono stati derisi come una generazione di nullafacenti. Una generazione a cui è sempre negata la parola, continuando a guardare al giovane solo come ad un adulto in potenza, mai come ad un soggetto con propri bisogni e desideri.
Con la diffusione della pandemia tutto ciò ha assunto caratteristiche grottesche. Sostituita anche l’aula di scuola con uno schermo, l’intera socialità è stata bandita ed etichettata come superflua, definizione facile per chi guarda al mondo solo come ad un salvadanaio da cui attingere, magari da una villa di duecento metri quadri.
Se lo stato ha pensato bene di scaricare tutta la colpa delle proprie mancanze sui comportamenti dei singoli, continuando ad andare a braccetto con quell’organizzazione criminale che da sotto il nome di Confindustria, quelli stessi singoli hanno poi riversato la propria frustrazione sul capro espiatorio perfetto perché appunto da sempre privato di voce: ancora loro, i giovani.
ll 3 febbraio, dopo mesi dai fatti, digos e polizia si sono presentati alle prima luci dell’alba in svariate case per portare via 20 persone destinate a misure cautelari. Arrestano per nascondere l’incapacità di chi governa questo paese nel gestire una crisi sanitaria ed economica senza precedenti, una crisi causata dallo stesso sistema di rapina del territorio e delle risorse che strenuamente tenta di difendere. I morti nelle RSA, le famiglie sul lastrico, nessuna prospettiva a medio o lungo termine sulle nostre vite come la criminosa gestione della seconda ondata ha dimostrato.
Non sono 20 ragazzi i responsabili di una notte di rabbia dove 10000 persone sono scese in piazza. Come non sono 3 ragazzi che escono a fare aperitivo i responsabili di una pandemia che da un anno ha cambiato permanentemente in peggio il nostro modo di vivere. Ma riconoscere le proprie responsabilità vorrebbe dire ammettere per lo stato di aver fallito, e allora avanti col prossimo capro espiatorio, col prossimo arresto.
Una piazza senza rivendicazioni precise e senza firma, una piazza proprio per questo abitabile da chiunque non volesse veder strumentalizzata la propria rabbia. Una rabbia da troppo tempo covata.
Come può infatti stupire che si voglia ribaltare un mondo che avrebbe tutto da offrire, ma che non ci ha mai offerto niente? Il contraltare di una tecnologia sempre più alienante è infatti rappresentato solo da sfruttamento e precarietà, lavori a nero e affitti impossibili.
Ed eccoli allora i giovani di venerdì: sono gli stessi che sono stati destinati a servire e sorridere al turista di turno, a cui è stato offerto poco più dello scheletro di quella che dovrebbe essere una scuola che mira a una reale diffusione e cultura, che sono stati costretti a continuare a vivere con i genitori e che proprio per questo sono stati derisi come una generazione di nullafacenti. Una generazione a cui è sempre negata la parola, continuando a guardare al giovane solo come ad un adulto in potenza, mai come ad un soggetto con propri bisogni e desideri.
Con la diffusione della pandemia tutto ciò ha assunto caratteristiche grottesche. Sostituita anche l’aula di scuola con uno schermo, l’intera socialità è stata bandita ed etichettata come superflua, definizione facile per chi guarda al mondo solo come ad un salvadanaio da cui attingere, magari da una villa di duecento metri quadri.
Se lo stato ha pensato bene di scaricare tutta la colpa delle proprie mancanze sui comportamenti dei singoli, continuando ad andare a braccetto con quell’organizzazione criminale che da sotto il nome di Confindustria, quelli stessi singoli hanno poi riversato la propria frustrazione sul capro espiatorio perfetto perché appunto da sempre privato di voce: ancora loro, i giovani.
ll 3 febbraio, dopo mesi dai fatti, digos e polizia si sono presentati alle prima luci dell’alba in svariate case per portare via 20 persone destinate a misure cautelari. Arrestano per nascondere l’incapacità di chi governa questo paese nel gestire una crisi sanitaria ed economica senza precedenti, una crisi causata dallo stesso sistema di rapina del territorio e delle risorse che strenuamente tenta di difendere. I morti nelle RSA, le famiglie sul lastrico, nessuna prospettiva a medio o lungo termine sulle nostre vite come la criminosa gestione della seconda ondata ha dimostrato.
Non sono 20 ragazzi i responsabili di una notte di rabbia dove 10000 persone sono scese in piazza. Come non sono 3 ragazzi che escono a fare aperitivo i responsabili di una pandemia che da un anno ha cambiato permanentemente in peggio il nostro modo di vivere. Ma riconoscere le proprie responsabilità vorrebbe dire ammettere per lo stato di aver fallito, e allora avanti col prossimo capro espiatorio, col prossimo arresto.